Ci lasciamo alle spalle Coral bay e il suo fantastico mare per raggiungere l’entroterra del WA, una zona piena di vecchie minerie che hanno fatto ricca la storia di questa regione. Partiamo la mattina per giungere al Karijini Natural Park quando la notte ormai la facieva da padrone. A dirla tutta non mi sono accorto di essermi sorbito altri 700 Km di perdute e talvolte polverose strade. Si, tanta tanta polvere, perchè il campeggio, dove avremmo trascorso i prossimi due giorni, dista 35 Km di rossa strada dalla statale asfaltata, e una volta raggiunto la nostra piazzola e quindi acceso le luci interne dell’abitacolo aprendo le porte, ci rendemmo conto della nebbia di polvere che respirammo per tutto l’ultimo tratto. Anche questa è australia. L’inverno, qui nell’interno, fa sentire maggiormente la sua presenza, e dovetti ricorrere al cappello di lana e doppia felpa, e come se non bastasse il cielo chiamava pioggia, tanta pioggia: impossibile accendere un fuoco e starsene li attorno a raccontarsela… non può essere tutto sempre perfetto
d’altronde! Questa zona è celebre per le famose gole che si susseguono una dietro l’altra, connesse tra di loro da cascate, laghetti e corsi d’acqua. Il nostro compito qui era di andare a visitare alcune tra le più famose gole e tentare di apprendere le profonde radici storiche che legano questi territori alle diverse tribù aborigene che da millenni vivono queste gole. Inutile dire che le leggende, i racconti e le memorie aborigene di cui queste terre sono impregnate, hanno un qualcosa di ilare e grottesco ma che nel contempo si porta un degno rispetto.
Purtroppo piovve tutta la notte e il sole si intravedeva a difficoltà tra le dense nubi. La mattina ci ritardammo ad incamminarci proprio perchè la pioggia aveva reso il sentiero e le rocce troppe scivolose per scendere nella gola ed andare a vedere angoli incredibili della natura. Lasciando il buon senso e la coscienza nel sacchetto delle mutande e i calzini sporchi nel fondo dello zaino, io ed alcuni di noi ci facciamo coraggio a scendere la sdruciolevole parete rocciosa. Santi e madonne mi accompagnarono nella terribile discesa, maledicendo me stesso per aver indossato scarpe senza suola, e con molta calma raggiunsi il fondo della gola e quindi un primo laghetto naturale attorniato da alte pareti rocciose. Ebbene, tanta fatica per vedere una semplice risacca d’acqua? Certo che no! E malgrado la pioggia e i freddi refoli d’aria, decidemmo che una bella nuotata ci avrebbe allietato la giornata: e così, vestiti di sole mutande, ci tuffammo e, con tempi olimpionici, nuotammo verso l’altra sponda, che sponda non era, bensì una parete rocciosa che scalammo senza aver deciso di farlo. In cima trovammo un altro laghetto ed ancora un’atra parete che superammo per infine raggiungere la cascata che alimentava tutto il corso d’acqua: un massagio terapeutico al di sotto di essa era d’obbligo! Prima che perdessimo l’uso dei piedi e delle mani, decidemmo di ritornare sui nostri passi e raggiungere il campo base ma la via del ritorno si dimostrò più ardua quanto pericolosa dell’andata: era tutto dannatamente scivoloso e in più di un’occasione dovetti lottare aspramente contro la gravità per rimanere tutto d’un pezzo! Ah com’è vero quella simpatica canzoncina australiana che dice che in oz ti potrebbe capitare accidentalmente di morire!