L’Italia può essere salvata solo dalla sua comunità gay, dagli immigrati, dagli italiani che sono stati all’estero, da quei pochi che ancora leggono e da chi abbia vissuto privazioni o sia stato toccato de difficoltà reali, sicuramente non dai suoi studenti, dai “giovani” senza ulteriore connotazione del termine.
Fatevi una serata in piazza Bologna a Roma un venerdì sera, in mezzo a 500 giovani che frequentano La Sapienza: vedrete solo standardizzazione, appiattimento estetico e mentale, gruppi chiusi, ognuno per sé, no diversità, no apertura nonostante una piazza dovrebbe essere un luogo di comunicazione, scambio, conoscenze, condivisione. Sono dei giovani vecchi.
Poi andate alla gay night del Circolo degli Artisti, come mi è capitato di fare ieri sera: vi troverete a parlare con gente molto più easy-going, “ricca”, interessante, curiosa. Se avessi il potere di fondare un movimento politico mi rivolgerei a gay, immigrati, italiani all’estero e poche altre categorie che abbiano un potenziale rivoluzionario. Sarebbe una sfida impossibile destinata a naufragare ma sarebbe l’unica strada che varrebbe la pena di percorrere. Diffidate da chi grida “largo ai giovani” o di chi usa la categoria “giovani” per arrivare al potere… I “giovani” dei partiti, i “giovani” delle associazioni imprenditoriali sono giovani vecchi. Sono uguali ai loro omologhi senior, solo non hanno ancora conquistato il potere. Per questo il ricambio generazionale a tutti i costi non ha senso. Ci vuole ricambio, ma qualificato.
Noi giovani under 35, nati a fine anni Settanta, negli anni Ottanta o negli anni Novanta siamo stati corrotti. I nostri genitori ci hanno deresponsabilizzato, ci hanno viziato, non ci hanno fatto mancare nulla, ci hanno comprato le Nike, se si arrivava a casa con un voto basso era colpa del professore, non ci hanno abituati a pensare attivamente il nostro futuro in modo progettuale, ci hanno fatto laureare solo perché faceva figo avere il figlio dottore illudendoci che poi con la laurea avremmo trovato un lavoro figo e ben remunerato senza fare troppi sforzi. Non ci hanno abituati a chiederci davvero che lavoro avremmo voluto fare da grandi. E ora non possiamo ribellarci a quel sistema che ci ha comprato, che ci ha dato tutto.
Per questo non esistiamo come categoria rivoluzionaria e motore del cambiamento. Se vogliamo risorgere riponiamo le nostre speranze nelle persone giuste, non facciamoci incantare dalla retorica del giovanilismo e dal mito della superiorità della società civile sulla politica. La politica non è nient’altro che un’espressione della società, e il grosso di questa società non vuole cambiare, si accontenta di quello che ha. Puntiamo tutto su quella minoranza.