Gli ultimi giorni in Giappone li ho trascorsi tra Kyoto, Osaka e Tokyo, le tre grandi metropoli giapponesi, almeno per me. Delle tre Kyoto rimane la mia preferita: urbanistica semplice, non grattacieli, tanto verde, bella da girare in bicicletta e le persone hanno il tempo per fermarsi a scambiare due chiacchiere. Nei paraggi ci sono diversi posti da andare a visitare e molti a stampo religioso: templi e buddha. In particolare mi sento di consigliare di andare a Nara (un’ ora scarsa di treno) dove vi troverete di fronte ad uno dei più bei templi che abbia visto assieme ad uno delle più enormi statue raffiguranti il Buddha, imponente. Vale la pena poi girare il parco e salire la collina da dove si può vedere uno splendido tramonto gustandosi una tipica tazza di macha.
Per chi volesse rimanere in zona città decisamente un salto al Nijo Castle e al parco Nanzenji, in particolar modo se siete nel periodo in cui i marple tree diventano rossi o i sakura tree fioriscono: visione emozionante.
Kyoto inoltre è famosa per lo “Yuba”: avete presente quando si fa bollire il latte e si crea quella pellicina in superficie? Perfetto, lo Yuba è esattamente quella roba li ma prodotta dal tofu. Lo si usa in diverse pietanze ma anche da solo con un “tocio” di salsa di soia. Strabiliante, è entrata prepotentemente tra i miei cibi giapponesi preferiti.
Ad Osaka è stato un mordi e fuggi causa tempo agli sgoccioli ma nonostante tutto mi sono rimaste impresse due cose, anzi due bar.
Il primo era da qualche parte nella stazione dei treni (più che stazione sarebbe da definire città, per attraversarla ci vuole mezza giornata), dalle dimensioni dei baretti triestini, stretto abbastanza da far stare le persone in piedi di fronte al bancone senza spazio alle loro spalle, questo per un semplice motivo, è uno “standing bar”! In pratica la gente entra per bere qualcosa ovviamente ma lo scopo è socializzare con i 37 barman che compressi sono lì per parlare. Chiaramente più bevi meno paghi, meno bevi e meno chiacchieri.
Tutta la situazione è tanto assurda quanto brillante. Un’idea da esportare e replicare.
La sera poi, in cerca di evitare bar turistici e/o ordinari, cammina cammina si finisce in una di quelle vie buie e con i gatti che scappano da un lato all’altro. Fremevo. Sapevo che ero nel posto giusto; da questa stradina si apre un vicolo profondo e stretto e attraversandolo a destra e a sinistra dalle porte semi chiuse si vedeva la gente seduta a mangiare china sul proprio piatto; proseguendo si arrivava ad un vicolo cieco, o meglio la toilette. Si ritorna sui propri passi e alla mia destra, nel buoi più totale, dentro ad una di queste porte vedo una persona maneggiare qualcosa tra le mani: metto a fuoco bene la vista e i movimenti che faceva erano più che espliciti… stava lustrando un bicchiere! Trovato il bar per un drink. Beh, chiamarlo bar è un eufemismo, diciamo che ho scoperto un perfetto parallelismo tra la lunghezza della parola “bar” è le dimensioni di quel locale: senza esagerare 2 metri quadrati abbondanti! Il barman, vestito con un perfetto abito da maître, era rinchiuso all’angolo dietro al bancone, con un spazio sufficiente a girarsi ma non ad accovacciarsi. Se ordinavi un cocktail le cui bottiglie non erano a distanza dovevi passargliele visto che le mensole si dipartivano su tutta lunghezza del muro. Posti a sedere 4 ma stringendosi anche 6. Veramente intimo.
Avendo trascorso i giorni precedenti essenzialmente nelle campagne del giappone meridionale e trovando anche il tempo per fare una capatina al lago Yamanaka per scrutare il monte Fuji, l’arrivo a Tokyo è stato un bel colpo basso: tanta ma tanta gente, grattacieli, luci, traffico, rumore. Scendere alla stazione di Shibuya nelle ore di punta è un suicidio se non sai dove andare perché l’onda umana di persone che si spostano ti trascinano via con loro; enormi schermi televisivi tappezzano come quadri le pareti degli alti edifici mentre e perenni pubblicità si susseguono tutto il giorno; musiche di gruppi pop giapponesi fluiscono dagli infiniti speaker sparsi tra le vie del quartiere; le ragazze sono così truccate da sembrare uscite da un manga; è un caotico brulicare dalla mattina alla sera, non-stop, ma incredibilmente scandito dagli orari della metro. E come se non bastasse, a inforcare la mia incredulità, a Shibuya ti trovi anche la statua di Hachico, il cane reso famoso dal film hollywoodiano con Richard Gere: mi aspettavo fosse una storia ambientata in chissà quale villaggio di campagna, sicuramente non nel cuore di una metropoli! Il che rende ancora più affascinante la fedeltà dell’amico a quattro zampe.
Girare per Tokyo non è una cosa semplice, salire e scendere dalla metro non è un’azione così scontata se non sai con esattezza millimetrica dove dovrai andare poiché le stazioni hanno diecimila uscita e imboccare quella giusta è un vero terno a lotto, anche se si domanda aiuto. Il discorso non cambia per arrivare all’indirizzo di un ristorante o di una attività, nemmeno google ci riesce. È un caos per i non locali e credo non sia una cosa facile nemmeno per gli edochiani.
Osservando queste persone con occhi europei si nota una grande differenza, impensabile per noi: lavorano tantissimo. Sul serio, fanno una vita incredibile, frenetica, dedita praticamente solo al lavoro. Iniziano la mattina e alle 10 di sera sono ancora lì a produrre e macinare. Capisci poi il motivo per cui si innaffiano di alcol ogni giorno e anche perché esistano quegli hotel con camere che sono del tutto dei loculi. E considerando quanto costa vivere in questa città questa gente altro non è che operai dal colletto bianco, che fanno fatica a campare. Questa è la cruda realtà di una potenza economica in declino.
Ho scoperto il tuo blog cliccando su google: “preparazione esame IELTS”. E poi…cliccando qua e là mi sono ritrovata a leggere quasi tutti i tuoi post a ritroso…e a guardare le foto. Stupende!
A leggere quella che è la tua vita, mi è venuta in mente una frase di Mark Twain, che io dimentico troppo spesso: “Twenty years from now you will be more disappointed by the things that you didn’t do than by the ones you did do. So throw off the bowlines. Sail away from the safe harbor. Catch the trade winds in your sails. Explore. Dream. Discover”.
In bocca al lupo per tutto.
Sara
Grazie Sara, quella frase ce l’ho sempre in testa e quasi l’ho presa alla lettera quando scrive “sail away”!
Crepi il lupo e buon vento 🙂
Ciao!