Verso sud

On 10 Giugno 2008, in Australia, viaggio, by Dome

Tempo di fare una lavatrice e di nuovo mi ritrovo errante nelle terre dimenticate da Dio. Il clima invernale questa volta fa sentire la sua presenza e la combinazione pioggia-freddo è un cocktail micidiale che nemmeno il riscaldamento del bus riesce a sopraffare. L’unica soluzione è stringere i denti… per non farli battere! Si percorrono per ore strade rettilinee, si incrociano rare automobili e il paesaggio a destra e a sinistra non varia di un cespuglio: la situazione è ideale per tentare di schiacciare un pisolino dal momento che ancora una volta la sveglia è suonata molto prima delle prime luci dell’alba. Facciamo sporadiche soste per venire incontro ai nostri bisogni fisiologici di cibo e toilette e per, ovviamente, fare i turisti. L’autista-guida (che tipo! Fulminato in testa…) ci racconta alcuni aneddoti riguardanti queste terre, che per forza significa parlare anche di tradizioni e popoli aborigeni, ed alcune di essi sono davvero sbalorditivi: nel bel mezzo del nulla esiste un recinto che difende le pecore di una farm dagli “spietati” dingo; fin qui nulla di anomalo ma se si considera che quel filo spinato è stato innalzato più di 150 anni fa per una lunghezza superiore ai 10000 chilometri e che tutt’oggi c’è gente che quotidianamente ripara questo esile recinto, allora sì che la cosa assume un contorno più stupefacente. Se si aggiunge anche il fatto che non ho mai avvistato pecore negli ultimi giorni e soprattutto ben poco verde da mangiare, il tutto ha dell’incredibile. Le giornate ormai si sono accorciate e verso le quattro comincia già ad imbrunire. Ci fermiamo per la notte a Coober Pedy, celeberrimo paese per l’estrazione dell’opale, probabilmente la miniera più prolifera del pianeta.
Un altro guinness accompagna questo paese di 15 mila anime, ovvero la più alta concentrazione di nazionalità (46) provenienti da ogni dove, persino eschimesi, e tutti che lavorano nelle cave e miniere a metri e metri sotto terra. Poi la gente è talmente coinvolta nella loro attività lavorativa che ha deciso di costruire le loro abitazioni sotto terra così da combattere i rigidi inverni e le infernali estati: sarà anche bello avere 23°C costanti tutto l’anno ma le finestre? Spero nessuno di loro soffra di claustrofobia!
Come era ovvio l’ostello aveva le enormi camerate scavate nella roccia e così pure noi abbiamo provato l’ebbrezza della vita da talpe. Non serve nemmeno dirlo che alle cinque eravamo già in piedi e mezz’ora dopo in strada verso Adelaide; d’altronde i chilometri son tanti tanti in un paio di giorni. Prima di raggiungere i primi centri abitati e la civiltà abbiamo ancora il tempo di uno stop in mezzo al deserto per andare a vedere uno dei pochi laghi di sale, risultato di anni e anni di movimenti sismici che han colpito l’Australia millenni fa. Nonostante l’esigua quantità di luce era impossibile fissare questa distesa salata tanto il riflesso è accecante, figuriamoci col bel tempo. Camminandoci sopra si ha la sensazione di essere su un’enorme lastra di ghiaccio (se teniamo presente il momentaneo freddo polare) ma assaggiando i granelli non si hanno più dubbi sulla natura salata del lago. Dal finestrino si iniziano a vedere incroci, rotonde, saltuariamente alcuni semafori e poi ancora edifici, case, negozi, supermercati, automobili, traffico, confusione e dopo una settimana trascorsa dove l’unico suono è del vento che fischia fra rocce ed arbusti… non è per niente facile ritornare così drasticamente a quello che è il mondo “normale”. Verso sera raggiungiamo la capitale del South Australia, tempo di trovare un letto per la notte e subito corro a fare la spesa ma niente da fare, alle 18e30 tutto chiuso, vuol dire che mi accontenterò di un riso in bianco.

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